giovedì 14 gennaio 2010

Le antiche terme di Chieti

Gli scavi archeologici sono presenti all’interno del centro urbano dell’antica Teate dove la strada consolare Valeria proveniente dalla città eterna, passava nell’attuale Corso Marruccino.Chieti possiede numerosi scavi di notevole importanza che testimoniano, oltre le antiche origini, il rilievo primario che lo stesso centro ha avuto nel tempo, come dimostrano i tre templi (il quarto è inglobato da un edificio moderno) della prima metà del I secolo d.C. che si sviluppano attorno ad un profondo pozzo sacro legato probabilmente al culto di Venere, e come ben provano sia il teatro della metà del I secolo d.C. nell’attuale Via di porta Napoli che l’anfiteatro, anch’esso del I secolo, posto sulla parte più alta della città.
Nel lato orientale di Chieti scorgiamo le antiche terme del II secolo d.C.  in tutta la loro bellezza che dura da quasi duemila anni.
Ben riconoscibili sono gli ambienti della zona calda ed il suo ingegnoso sistema idraulico e di riscaldamento, che prevedeva a monte una grande cisterna sotterranea divisa in nove ambienti costruiti contro terra, capace di garantire l’approvvigionamento d’acqua a tutta la città.

Chieti e l' Anfiteatro Romano

Chieti - Tempietti Romani

Il Parrozzo dolce tipico delle feste in Abruzzo

Storia e curiosità:

E' diventato un dolce solo di recente, quando intorno al 1920 un famoso pasticcere di Pescara, Luigi d'Amico, che era anche proprietario di un caffè del centro, ebbe l'idea di renderlo dolce e di produrlo nel suo laboratorio, rielaborando la ricetta senza modificare le caratteristiche originali. Il pasticcere era molto amico di Gabriele d'Annunzio e a lui per primo fece assaggiare la sua nuova creazione. Fu così che il poeta, entusiasta del risultato, compose un appassionato sonetto in dialetto locale in omaggio al neonato dolce: la "Canzone del Parrozzo".

Elementi della tradizione.
I contadini abruzzesi preparavano, per autoconsumo, da tempo immemorabile un pane con la farina di granturco, di forma semisferica e cotto nel forno a legna, che chiamavano Pane Rozzo, in contrapposizione a quello fatto con la farina di grano, e quindi bianca, da vendersi ai "signori". Agli inizi del secolo scorso Luigi D'Amico ebbe l'idea di fame una trasposizione dolciaria, riproducendo il giallo del granturco con quello delle uova, mantenendo inalterata la forma semisferica e adoperando una copertura di finissimo cioccolato fondente, e quindi di colore nero, per riprodurre lo scuro delle bruciacchiature superficiali caratteristiche della cottura nel forno a legna e, su precisa indicazione di Gabriele D'Annunzio, lo chiamò Parrozzo. Numerose le lettere, le poesie e le dediche di D'Annunzio per questo suo dolce preferito.

Cosa serve per la ricetta

150 gr di cioccolato, 125 gr di zucchero, 80 gr di burro, 60 gr di mandorle dolci, 50 gr di fecola, 60 gr di farina bianca, cinque uova, dieci mandorle amare

Come preparare la ricetta parrozzo

l'immaginifico poeta pescarese, gabriele d'annunzio, alza questa lode al parrozzo di pescara, notissima specialità della pasticceria abruzzese: "è ttante bbone 'sta parrozze nove che pare na pazzie de san ciattè. ch'avesse messe a 'sa gran forne te' la terre lavurate da la bbove. la terre grasse e lustre che se coce chiu tonne de 'na provole, a 'su foche gientile, e che duvente a poche a poche chiù doce de qualunqua cosa ddoce". il pasticcere luigi d'amico, che lo fabbrica da anni, lo presenta con una prosa dannunziana: "è il pan rozzo dei contadini d'abruzzo, trasfigurato da un immaginoso e raffinato pasticcere. conserva bensì il suo aspetto rude, la sua forma ingenua e il suo colore di granoturco e del cruscello, ma nella trasfigurazione s'è arricchito di grazia, di profumo e di dolcezza. hanno concorso a questa specie di miracolo le uova fresche del contado, le mandorle delle nostre colline, la ferina intrisa nel burro fresco dei nostri tratturi, lo zucchero e il cioccolato. tutti questi elementi, raccolti in prossimità della pineta di pescara, come del resto il parrozzo stesso, sono creature dello stesso sole". mettere le mandorle in acqua bollente, quindi pelarle e pestarle nel mortaio dopo averle coperte con due cucchiai di zucchero. sciogliere il burro, versare i tuorli in una terrina con il rimanente zucchero, sbattere bene ed unire le mandorle pestate. aggiungere la farina e la fecola con il rimanente burro. montare a neve gli albumi ed unirli all'impasto. quindi metterlo in una tortiera imburrata e mettere lo stampo al forno ben caldo (220°); cuocere per 45 minuti. preparare la crema di cioccolato e quando la torta sarà cotta e raffreddata, spalmarla con il cioccolato coprendola completamente.

 

Minestra di cardi

E’ praticamente un brodo a base di cardi. Questo piatto tradizionale si consuma il giorno di Natale.

Il brodo, come da tradizione, viene fatto con carni miste e verdure e viene lasciato bollire per circa tre ore. Per accorciare i tempi di cottura, si può utilizzare la pentola a pressione. La “Minestra col cardone” è un tipico piatto abruzzese da proporre in inverno come minestra leggera che introduce ad un primo piatto importante. Molto facile da preparare, pone solo il problema di trovare il cardone.

Utilizzo principale    Primo piatto della tradizione del Natale in Abruzzo.
N° persone    4

Ingredienti    • 800 gr. di cardi grossi
• 4 uova
• 100 gr. di formaggio grattugiato
• 1 limone
• noce moscata grattuggiata
• brodo (di tacchino, gallina e vitella)
• rigaglie di pollo e tacchino
• 1 cipolla
• un bicchiere di vino bianco secco
• una zuppa imperiale tagliata a dadini
• sale

Preparazione    1- Innanzi tutto occorre procurarsi i cardi (freschi e bianchi). Pulire le lunghe coste del cardo, tagliarle a piccoli dadini e porli in abbondante acqua acidulata con il limone, quindi lavare con cura. Lessare i cardi in abbondante acqua salata e fare cuocere fino a che non siano divenuti morbidi e teneri. Scolare, immergere in acqua fredda e quindi strizzare con vigore e riporre in un largo tegame possibilmente smaltato.
2- Aggiungere ai cardi un composto di uova e parmigiano (un uovo e due cucchiai di parmigiano a persona) abbondante noce moscata grattugiata.
3- A parte si saranno preparati un ottimo e limpido brodo di tacchino, gallina e vitella, un soffritto di rigaglie di pollo e tacchino (preparazione: intagliare a dadini minutissimi gli stomaci precedentemente lessati, il fegato, i cuori e le creste, soffriggerli in un battuto fine di cipolla, tirando la cottura con un bicchiere di vino bianco secco), una zuppa imperiale tagliata a dadini.
4- Versare una giusta quantità di brodo bollente nel tegame dei cardi aggiustati e rimestando delicatamente portare ad ebollizione a fuoco lentissimo affinché la minestra resti chiara e trasparente.
5- A questo punto aggiungere la zuppa imperiale a dadini, le rigaglie e servire.

Origine    Abruzzo.
Anche detto...     Minestra col cardone.

 

Cardo comune o cardo coltivato
Il cardo (Cynara cardunculus altilis) o carciofo selvatico è un ortaggio invernale di forma simile al sedano, ma appartenente alla famiglia dei carciofi. Anche il sapore è simile a quello del carciofo, ma con sfumature che ricordano il sedano.
Il cardo ha pochissime calorie. Richiede parecchio tempo sia per pulirlo che per cuocerlo. Solo la varietà "Cardo gobbo" di Nizza Monferrato è adatto ad essere consumato crudo.

Descrizione    Assomiglia al sedano come forma ed è molto affine al carciofo come sapore ma a differenza del carciofo, suo stretto parente, il cardo viene coltivato, almeno per l'ambito culinario, per i suoi gambi che sono lunghissimi: dai 60 ai 150 cm. Lo si trova in inverno. Del cardo si consumano le coste, che vanno cucinate e consumate subito dopo averle pulite (vedi "Come pulire il cardo"). Ha un gusto caratteristico e amarognolo.
Utilizzo principale     I cardi si cucinano gratinati al forno o fritti. La prima cottura (molto lunga, da 2 a 4 ore) viene generalmente fatta nel latte o in acqua. Conviene provvedere il giorno prima alla cottura e lasciare poi raffreddare i cardi immersi nel liquido. In Piemonte, vengono accompagnati con la famosa bagna cauda (vedi ricetta).
Altri utilizzi     In Sardegna viene prodotto il liquore di cardo selvatico e i cardi selvatici sott'olio.
Pianta

Fiore del cardo     Il cardo è una pianta erbacea perenne in natura, annuale in coltura; si distingue dal carciofo per il notevole sviluppo delle coste.
Il cardo è piuttosto duro e di sapore amaro e viene per questo sottoposto a imbiancamento, le piante, cioè, vengono coltivate in assenza di luce e, alcune varietà, vengono addirittura interrate, piegando la pianta di lato, verso il basso e ricoperta di terra, restando così fino al momento in cui vengono raccolti (quest'ultimo procediento viene impiegato per la varietà "gobbo di Monferrato").
Non essendo il cardo un ortaggio facile, per la sua commestibilità, il gelo è fondamentale, infatti, dopo una gelata, la consistenza del cardo diventa migliore e più tenera.
Varietà    Esiste il Cardo selvatico, che cresce allo stato spontaneo e viene utilizzato in cucina come il cardo coltivato. C’è una varietà di Cardo selvatico, diffuso in tutto il centro meridione e nelle isole, chiamato Cardo mariano (Silybum marianum) o Cardo selvatico benedetto o cardo della Madonna. La pianta è nota nelle medicina popolare per le sue virtù benefiche di tonico per il fegato.
Esiste il Gobbo di Monferrato, chiamato così per la forma che assume, simile ad un grosso uncino è l'unico che può essere consumato anche crudo in pinzimonio.
Le varietà più diffuse in Italia sono: il Cardo di Bologna, privo di spine, con costole piene, di media grossezza; Cardo di Chieri, molto diffuso in Piemonte, di buona qualità, poco spinoso e facilmente conservabile; Cardo di Tours, varietà pregiata ma poco diffusa perché spinosa; Cardo gigante di Romagna, coltivato nell'intera area romagnola, lembo fogliare largo, a media frastagliatura, verde-grigio chiaro, a picciolo lungo, mediamente concavo con spine.
Esiste inoltre il Cardo alato (Cardus acanthoides) che si trova comunemente nelle zone umide ed erbosee e il Cardo triste (Cirsium heterophillum) che si distingue per i copolini fiorati rosso porpora.
Origine    Il Cardo è una pianta originaria del Mediterraneo.
Stagionalità    Giunge a maturazione in inverno.
Reperibilità    Solo in inverno.
Come scegliere     Quando si acquistano i cardi bisogna verificare che i gambi siano bianchi e compatti; non devono avere tracce di colore verde, in quanto duri e amari, mentre quelli che tendono ad aprirsi non sono più molto freschi. Vanno scelte quindi piante dal colore chiaro, chiuse e pesanti, prive di macchie, con costole croccanti e larghe.
Suggerimenti    Se dopo averli lavati non vengono subito cucinati bisogna metterli in acqua acidula per non farli annerire. Per evitare che il cardo annerisca con la lessatura, è consigliabile lessare i cardi in acqua con il succo di mezzo limone o con un cucchiaio di farina bianca.
Come pulire
il cardo     Sia la pulizia che la cottura del cardo richiedono molto tempo. E' un operazione molto lunga e laboriosa, si devono eliminare le coste esterne più dure e filamentose, l'ideale è utilizzare un pela patate, fino ad arrivare al cuore. Le coste vanno poi spuntate e tagliate a pezzetti tenendole immerse in acqua acidulata con il limone se non si intende utilizzarle subito, evitando così che anneriscano. Le foglie più grandi vanno scartate, mentre si possono consumare le foglie tenere che si sviluppano sulla parte centrale del cespo.
Calorie    70 gr. contengono: 10 Kcal e 42 Kjoule.
Proprietà    Il cardo è ricco di calcio, potassio e sodio. Contine: Carboidrati: 1,7; proteine: 0,6; grassi: 0,1; acqua: 94,3; colesterolo: 0; sodio: 23; calorie 10.
Ha pochissime calorie e un indice di sazietà piuttosto alto, quindi può essere arricchito di sapore anche utilizzando una certa quantità di grassi pur mantenendo una elevata sazietà.
Controindicazioni    Non è sempre ben tollerato da chi è affetto da malattie gastrointestinali. Meglio non consumarlo di sera.
Celiachia    Non contiene glutine.
(Dato fornito da AIC: Associazione italiana Celiachia)
Conservazione    Per conservarlo il migliore dei metodi è quello di tenerlo appeso. Mondato e sbollentato si può surgelare. In frigorifero è consigliabile conservarlo in un sacchetto di cellophan su cui avrete praticato dei fori, dopo aver avvolto la base della pianta con carta di alluminio. In questo modo può essere conservato in frigorifero nello scomparto della verdura, per oltre una settimana.
Anche detto...     Anche detto carciofo selvatico, caglio, cardo spinoso
Cenni storici     Le prime tracce del Cardo sono state rinvenute in Etiopia e successivamente in Egitto.
Plinio, nella sua “Storia Naturale”, lo annovera fra gli ortaggi pregiati.
Fin dai tempi antichissimi, germogli e semi di cardo servivano per produrre il caglio dei formaggi, ma solo nel ‘500 si hanno le prime testimonianze della sua presenza in cucina, e delle sue tecniche d’imbiancamento.
Due medici della corte sabauda, alla fine del XVI sec. scrivevano:
“i cardi si mangiano ordinariamente nell’autunno e nell’inverno fatti teneri e bianchi sotto terra”.
Nel ‘700 il rinomato libro di cucina “Il Cuoco Piemontese” cita la ricetta più classica a base di cardi: la bagna cauda (o caoda), piatto simbolo della gastronomia del Piemonte.
Curiosità e leggende     Insieme al tartan, il cardo è forse il simbolo che identifica maggiormente gli scozzesi, e oggi lo si vede usato per contraddistinguere come scozzesi una serie di prodotti, servizi e organizzazioni. Una leggenda racconta che un manipolo di guerrieri scozzesi stavano per essere sorpresi nel sonno da un gruppo di vichinghi invasori, e si salvarono solo perché uno degli attaccanti mise un piede nudo sopra un cardo selvatico. Le sue grida diedero l'allarme e gli scozzesi, risvegliati, sconfissero come di dovere i danesi. In segno di ringraziamento la pianta fu chiamata Guardian Thistle (cardo protettore) e venne adottata come simbolo della Scozia.
Non esiste alcuna testimonianza storica che sostenga questa leggenda, ma qualunque siano le sue origini, il cardo è stato un simbolo scozzese importante per più di 500 anni. Appare in modo riconoscibile forse per la prima volta su delle monete d'argento emesse nel 1470 durante il regno di Giacomo III e, a partire dagli inizi del XVI secolo fu incorporato nello stemma reale della Scozia.
Tratto da: Sito ufficiale dell'ente nazionale scozzese per il turismo.
Nei dialetti italiani     Calabria: cacocciulu; Campania cardo selvatico/in senso furbesco:vulva: cardogna; Lombardia: caf (Tartano/SO); Molise: carde; Piemonte: card, card servaj; Sardegna: ardu; Umbria: gòbbu.
Da www.dialettando.com.
Nelle lingue straniere     In FRANCESE: Chardon sauvages, in INGLESE: Wild cardoons.
Sagre ed eventi     Ad Andezeno (TO) "sagra del cardo".
consigliate     Bagna cauda (Piemonte)

 

Timballo di scrippelle

Il timballo di scrippelle è il piatto principe dei giorni di festa a Teramo. Immancabile a Natale, e a Capodanno. Le "scrippelle" sono frittatine sottilissime di acqua, farina e uova, preparate su una padella caldissima, simili, se non identiche, alla "crepe" francese.
Il timballo alla teramana, presenta poco sugo, ma è ricco di "pallottine" come quelle dei maccheroni alla chitarra, e trova la sua particolarità nella preparazione degli strati che, non sono di pasta sfoglia, ma di "scrippelle". Oltre al sugo con le pallottine, i leggerissimi strati di scrippelle ospitano infatti spinaci, uova, dadini di formaggio o mozzarella, carciofi e tutto quello che ogni donna di casa ha ereditato da madre e nonna.

Utilizzo principale    Primo piatto tipico del Natale e delle feste in Abruzzo.

Ingredienti    • Ingredienti per le scrippelle:
Un uovo e 2 cucchiai di farina a persona
Lardo

• Ingredienti per il sugo:
una buona salsa di pomodoro, misto per soffritto, pezzi di agnello, sale, pepe, olio ev buono. Fare la classica salsa di pomodoro, le verdure lasciatele grossolane, poi verrano tolte insieme ai pezzi di agnello.

• Ingredienti per le polpettine:
Carne tritata di manzo, sale, pepe, noce moscata, uovo, poco pane ammollato nel latte (proprio poco, la ricetta originale non lo prevedeva, ma così restano più morbide, olio per friggere.

• Ingredienti per il timballo:
sugo
3 scamorze
3 uova sode tagliate a fettine
gr 200 di piselli cotti
olio
burro
parmigiano
rigaglie di pollo
polpettine di carne

Preparazione    1- Preparazione delle scrippelle:
amalgamare uova e farina aggiungendo acqua fino ad ottenere una pasta piuttosto liquida. Con un mestolo, versare un poco alla volta l'impasto in una padella che, di volta in volta, dovrà essere unta sul fondo con un poco di lardo. Far cuocere la "scrippella" dalle due parti, a fuoco lento, facendo attenzione a non romperla nel girarla.

1- Preparazione delle polpettine:
Fare l'impasto per le polpettine. Fare delle polpettine piccolissime, poco più grandi di un cece friggerle e buttarle nel sugo. Si possono anche non friggere e, buttarle direttamente nel sugo, oppure prima di metterle nel sugo le si può sbollentare leggermente infarinate.

2- Preparazione del timballo:
Foderare il fondo di una teglia con alcune "scrippelle" in modo che facciano da involucro. Formare degli strati disponendo il ragù e gli altri ingredienti indicati, spennellando il tutto con un composto di uova sbattute, latte, parmigiano e pecorino. Ripiegare i lembi delle "scrippelle" in modo da chiudere l'involucro e passare il timballo in forno, lasciandolo almeno un'ora e mezza.
Come servire   
Tolto dal forno è meglio coprirlo con la stagnola, e lasciarlo riposare per almeno un'ora, massimo due. Deve compattarsi, restare umido e morbido.
Il timballo è ottimo anche freddo.
Tempo necessario     3 ore compresi i tempi di cottura + 1 ora di riposo.
Costo    Basso.
Difficoltà    Difficile.
Varianti    Il ripieno può essere arricchito con altre verdure a piacere.
Origine    C'è chi sostiene che i francesi abbiano scoperto a Teramo, negli anni del loro passaggio italiano, l'esistenza della "scrippella", ma è sicuramente vero il contrario. Il timballo alla teramana, dunque, sarebbe lontano parente delle "crepes", ma la sua preparazione e la sua concezione ne fanno un primo piatto unico tra i piatti.
Vino da abbinare     Montepulciano d’Abruzzo DOC o Montepulciano Cerasuolo D'Abruzzo DOC.

Pranzo di Natale:
Timballo di scrippelle
Tacchino alla canzanese
Minestra di cardi
Zuppa imperiale
Lu rintrocilio
Tacchinella in brodo

Dolci di Natale:
Calcionetti fritti
Ferratelle
Scrippelle (vedi timballo di scrippelle)
Parrozzo

 

Zuppa imperiale

La zuppa imperiale si ottiene lavorando un composto di uova, farina, parmigiano e prezzemolo nel seguente modo: dividere i tuorli dall’albume delle uova (contare un uovo a persona).

Sbattere energicamente i rossi con parmigiano (due cucchiai scarsi ogni uovo) farina (un cucchiaio scarso ogni uovo) sale, noce moscata.

Montare a neve gli albumi, unire delicatamente i due composti, aggiungere abbondante prezzemolo triturato finissimamente e stendere in una pirofila da forno foderata con carta da cottura, in uno strato sottile. Infornare a forno medio per dieci minuti.

Quando la zuppa ha formato una deliziosa crosta dorata ed emana un piacevole rustico profumo, sfornare, lasciare raffreddare e tagliare a piccoli dadini.

Una buona zuppa imperiale si può acquistare anche presso le gastronomie che offrono prodotti della cucina tradizionale.

 

Tacchinella alla canzanese

Procurarsi una bella tacchinella giovane, dissossarla accuratamente,Tacchinella alla Canzanese salarla all’interno legarla con uno spago.

In un tegame, adatto ad essere successivamente infornato, a bordi sufficientemente alti preparare a fuoco lento un brodo ottenuto con due litri di acqua aggiustata di sale, cipolle, sedano e carote, le ossa frantumate della carcassa della tacchinella e un osso di ginocchio di vitello. Immergere la tacchinella nel brodo bollente ed aggiungere tre o quattro agli vestiti, grani di pepe bacche di ginepro, finocchio, e un mazzetto di erbe aromatiche composto da rosmarino, alloro, salvia, timo, menta di montagna, maggiorana.

Infornare e fare cuocere a fuoco lentissimo per quattro cinque ore, fino a quando il liquido di cottura non si sia ristretto ad un quarto di litro.

Aggiustare la tacchinella su un piatto di portata, tagliandola a grossi tranci. Filtrare il liquido di cottura e irrorarlo sulla carne. Far riposare al fresco per alcune ore prima di servire. Si consiglia di preparare la tacchinella alla canzanese il giorno prima.

 

Lu rintrocillo

Con questo nome si indica una pasta bianca composta di farina, sale ed acqua, tagliata con uno speciale mattarello dentellato, diffusa soprattutto nel lancianese e nell’alto Sangro.

Lu rintrocillo è condito con un sugo di castrato e maiale, abbondante peperoncino rosso e formaggio pecorino stagionato, grattugiato al momento.

Come preparare il sugo

In un ampio tegame di coccio porre una cipolla bianca, olio extravergine d’oliva, un bel tocco di carne di castrato di montagna (preferibilmente di Casoli) ben nettato e privato dell’eccesso di grasso, una pari quantità di polpa di maiale, far rosolare a fiamma vivace, salare, aggiungere uno o due bicchieri di acqua tiepida (la quantità è in relazione al peso della carne) incoperchiare e continuare la cottura a fuoco lentissimo per tre o quattro ore, verificando ogni tanto fino a quando l’acqua non si sia ritirata del tutto, la cipolla disfatta e la carne intenerita e cotta. A questo punto aggiungere la passata di pomodoro, aggiustare ancora di sale e continuare sempre a fuoco lento affinché l’olio formi uno strato omogeneo, limpido e trasparente. Togliere dal fuoco e tenere in caldo

Preparazione della pasta

Per la dose si consideri una presa di farina a due mani per ogni persona

Farina 0 oppure una miscela a metà di farina di grano tenero e di farina di grano duro, un pizzico di sale, acqua quanto basta.

Impastare il composto di farina ed acqua sbattendolo sulla tavola come per la lavorazione del pane affinché la massa divenga liscia ed omogenea.

Ammassare quindi per almeno mezzora. Far riposare in luogo fresco ed asciutto la massa coperta, quindi rilavorarla di nuovo ammassandola a due mani con molto vigore sulla spianatoia.

Tirare con il matterello la sfoglia ad un’altezza tra i 3 e 5 millimetri, spolverizzare con un poco di farina e ricavare strisce della lunghezza di 20 cm circa. Tagliare le strisce con il matterello dentato. Una buona pasta di rintrocillo si può acquistare anche presso le gastronomie che offrono prodotti della cucina tradizionale.

La pasta del rintrocillo va lessata in abbondante acqua salata e scolata al dente. Condire con il sugo, pecorino e peperoncino e servire caldo.

La carne, tagliata a pezzi, costituisce un ottimo e saporito secondo piatto.

 

Torcinelli o crispelle

Un chilo di farina, due cubetti di lievito, 3 patate lesse, un pizzico di sale e un pizzico di zucchero scorzetta di arancia grattugiata.

Si impasta, si sbatte, si fa lievitare al caldo coperto per almeno un paio d’ore.

Quando la pasta sarà ben lievitata si pone sul fuoco un tegame a bordi alti con abbondante olio di oliva.

Prendere porzioni della pasta con le mani unte, allungarle e dare una forma a tortiglione, friggere a fuoco vivo.

Scolare, far asciugare su un foglio di carta assorbente spolverizzare con zucchero semolato e cannella in polvere.

 

La scrippella

Dolce tipico sconosciuto ai più ma molto aprrezzato dagli abruzzesi

In numerose famiglie abruzzesi il Natale è atteso per il suo spirito di fede e di riconciliazione. L’arte culinaria in questo periodo cerca di esaltarsi al massimo per venire incontro ad un momento particolarmente gioioso.
I dolci rappresentano spesso i protagonisti nelle tavole di questi giorni con panettoni, torroni e pandori. E’ tuttavia “la scrippella” a primeggiare nelle case del chietino, soprattutto in quelle della costa
adriatica, come Vasto. La scrippella ha un sapore davvero irresistibile, praticamente priva difetti se si esclude il suo alto contenuto calorico e la sua lavorazione che richiede mani esperte.

In acqua tiepida viene sciolto il lievito con un pizzico di sale per essere impastato per almeno un ora con la farina e le patate passate al setaccio. Dopo aver fatto addensare l’impasto ed averlo fatto riposare per circa sessanta minuti in un ambiente non freddo, la pasta viene man mano modellata in fili (di solito circa 20/30 cm di lunghezza per 2/3 cm di spessore) e poi fritta (un minuto circa) in olio di oliva bollente fino ad una doratura omogenea.
Le “scrippelle” verranno poi adagiate in fogli assorbenti per eliminare l’olio eccedente e, successivamente, zuccherate in appositi vassoi.

Non è un dolce di facile realizzazione, richiede, come abbiamo detto, pratica e mestiere, tuttavia il suo sapore è così delizioso che invoglia qualsiasi appassionato a mettersi ai fornelli anche perché questo prelibato dolce, al contrario di altri come il “Parrozzo” o il “Panducale” , è praticamente sconosciuto alla grande distribuzione, forse per il fatto che esistono altri ingredienti, oltre a quelli tradizionali, che non vengono rilevati.

Ingrdienti:

- farina doppio “0″…………………..1 kg

- lievito di birra………………………..25g

- patate (2 per ogni kg)…………….…2

- lievito di vanillina…………………50 g

- olio extra vergine di oliva………q.b

- zucchero………………………..………q.b

- un pizzico di sale

 

La cicerchiata

La “cicerchiata” rappresenta da sempre, oltre che il dolce tipico di carnevale, la risorsa dell’Italia centrale agli “struffoli” dei cugini del sud.
E’ una delizia molto antica che contiene zucchero, miele, burro, uova, farina, frutta candita e a volte, altro ancora.
Ma andiamo per ordine; innanzitutto la farina insieme al burro, alle uova e allo zucchero viene impastata unitamente ad un po’ di vino bianco e quando il tutto assume un composto omogeneo, la pasta viene tagliata a strisce sottili longitudinali, successivamente, a strisce trasversali, tanto da ottenere piccoli acini simili a ceci che andranno fritti in olio bollente e poi scolati accuratamente.

Le piccole sfere ottenute saranno immerse ed amalgamate rapidamente in una pentola dove lo zucchero ed
il miele, per effetto del calore, si fondono formando un composto caramelloso.

Al tutto viene successivamente dato una forma circolare con guarnizioni che vanno dai confetti alla frutta candita oppure, più tradizionalmente, il dolce viene ornato da scaglie di mandorle tostate, per la gioia di grandi e di piccini.
Ingredienti per 5 persone:

- farina………………………………….gr. 240

- zucchero……………………………..gr. 20 + 100

- uova……………………………………n° 2

- vino…………………………………….1 cucchiaio bianco secco

- miele…………………………………..gr. 100

- olio extravergine di oliva

- frutta candita